Breve sintesi per educare le persone alla visualizzazione e comprensione delle immagini.
Nell’era digitale “siamo tutti fotografi”! Compri una reflex e diventi un professionista è il motto con cui al giorno d’oggi, chiunque si improvvisa fotografo.
Ma il problema non è tanto in chi si inventa questa professione da zero, ma in chi non sa riconoscere la differenza tra una bella immagine e quella di un dilettante e spesso si affida ad amatori per la realizzazione dei propri servizi. Sempre più spesso, agenzie di comunicazione e di eventi si appoggiano a fotografi dilettanti per i loro servizi, puntando sulla quantità delle immagini e non sulla qualità. Ed ecco che sui social compaiono gallerie di 100 fotografie, tutte uguali, che raccontano l’evento come chiunque saprebbe fare con una macchina compatta.
Partiamo con ordine...
In questa era digitale, siamo bombardati da immagini su internet.
Tutti fotografano e pubblicano foto con telefonini di ultima generazione o con la reflex appena acquistata, sui social network, instagram, Pinterest, facebook, i quali, diventano contenitori primari di acquisizione e diffusione. Il risultato è quello di essere sommersi quotidianamente di fotografie in cui affoga il gusto collettivo che si fa portavoce del bello o del cattivo gusto.
Una fotografia può piacere o no e la percezione che si ha di essa è soggettiva, così come lo è la visione di un film che può colpirci o meno. Ma allora, come riconosciamo una bella foto?
1. La foto deve essere nitida! Non è scontato. Osservare bene l’immagine. I soggetti principali sono quelli che vanno messi a fuoco. Sempre! Solitamente lo sfondo è sfuocato perché diventa un elemento decorativo della scena, ma talvolta può essere importante per relazionarsi con gli elementi in primo piano. Se la foto è sfuocata deve avere un significato artistico valido e non sembrare un errore.
2. Composizione. In fotografia, come al cinema, la regola dei terzi e della sezione aurea è fondamentale per decidere dove posizionare il soggetto principale e quello su cui vuoi che l’osservatore si concentri. Il soggetto può essere centrale o di lato ma deve avere una relazione con lo sfondo e amalgamarsi con esso.
3. Colore. Deve essere equilibrato. Il colore aiuta a sottolineare l’importanza di determinati elementi all’interno della scena o a veicolare specifiche emozioni. Non deve essere troppo forte perché disturba l’occhio. La fotografia in bianco e nero serve per enfatizzare alcuni attimi e dare una maggiore importanza alla situazione.
4. La scelta dell’immagine. Il fotografo quando “scatta” una foto compie una scelta dettata dalla realtà che vive, lo circonda e che osserva. Sceglie i soggetti rappresentati, l’inquadratura, cosa inserire nel taglio dell’immagine e cosa lasciare fuori. Più è in empatia con quello che ha intorno o con il soggetto ripreso, più riesce a cogliere il momento per lui significativo, raccontandolo nel momento migliore.
5. Il messaggio: È fondamentale che nelle immagini realizzate vi sia il contenuto e il messaggio di ciò che si vuole raccontare a chi vedrà il prodotto finito. Questo non vuol dire solo “cogliere il momento decisivo”, ma anche scegliere cosa inquadrare nell’obbiettivo e realizzare una “foto che parla da sola” ovvero contenga gli elementi necessari per la sua interpretazione.
6. Emozione. L’immagine che rappresentiamo trasmetta un’emozione, racconti una realtà che con poche, ma buone fotografie narri la nostra storia.
Potremmo iniziare a farci questa domanda: appenderesti la foto che stai osservando sul muro di casa? Perché mostrare agli altri qualcosa che neanche io sarei disposto ad appendermi? Può sembrare ovvio, ma vista la moltitudine di immagini presenti su internet, non lo è. Per questo ci tengo sempre a sottolineare la qualità e non la quantità delle immagini.
Prendiamo come esempio una fotografia di Elliott Erwitt. È una foto che racconta l’attimo di due amanti in un’auto. L’emozione della felicità di una coppia, (sposata? fidanzata?) colta nell’istante prima del bacio. Lo sfondo enfatizza l’immagine, come se fosse un sogno, l’orizzonte del mare con il tramonto aumenta il sentimento e chi osserva l’immagine percepisce, benessere e gioia. Può causare anche malinconia qualora lo spettatore si immedesimasse nell’immagine ripercorrendo momenti passati felici e nostalgici. È semplice, diretta ed essenziale nei suoi elementi che la compongono, nulla è fuori luogo. Ma per noi conta solo quello che percepiamo, vediamo nel fotogramma, non ci servono spiegazioni per entrare dentro la scena e anche il titolo generico “California 1955”, dettato dall’autore diventa poco importante.
Una bella foto “accade” quando riusciamo a raccontare ad un pubblico più o meno vasto una parte di noi condivisibile. Il singolo attimo rapito alla realtà diventa solo l’inizio, l’innesco di una storia visiva che racconta a noi e ad altri un qualcosa che dura oltre il singolo sguardo alla fotografia. Si incardina nel nostro inconscio raccontandoci mondi presenti, passati e futuri nelle loro possibili evoluzioni. Guardiamo un’immagine e scopriamo qualcosa di noi, qualcosa della storia rappresentata, immaginiamo possibili sviluppi, ci perdiamo dentro prima di tutto con il cuore che con gli occhi. Capita spesso di interrogare le persone sul significato di una foto: più le interpretazioni sono differenti e fantasiose, anche al di là delle intenzioni dell’autore, più è possibile che la foto possa essere considerata interessante. Se oltre all’impatto visivo si trova qualcosa di nostro e personale, la foto ci può appartiene, anche se scattata da altri. Se non si comprende quello che si vede, se lo si trova banale o già visto, probabilmente non saremo invece portati a considerarlo bello od originale*.
*(Quest’ultima parte del testo è tratta da un articolo pubblicato su “Fermo Immagine” scritto da Stefano Corso, fotogiornalista, sul tema della fotografia).
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