Si intitola “In Prima Linea. Donne fotoreporter in luoghi di guerra” la mostra fotografica esposta dal 6 ottobre al 13 novembre 2016 a Palazzo Madama, Torino.
Da una idea della fotoreporter Andreja Restek, curata dalla giornalista Stefania Campanella e Maria Paola Ruffino, la mostra presenta 14 donne a testimoniare le crudeltà della guerra. Provengono da Gran Bretagna, Usa, Croazia, Italia, Francia, Belgio, Spagna, Egitto e sono Linda Dorigo, Virginie Nguyen Hoang, Jodi Hilton, Andreja Restek, Annabell Van den Berghe, Laurence, Geai, Capucine Granier-Deferre, Diana Zeyneb Alhindawi, Matilde Gattoni, Shelly Kittleson, Maysun, Alison Baskerville, Monique Jaques e la giovane Camille Lepage, morta a soli 26 anni in una imboscata nella Repubblica Centraficana. Ognuna presenta 5 fotografie del loro attivismo, l’emozione ma soprattutto il rispetto verso popoli indifesi e le violenze subite da altre donne.
La stessa Andreja racconta come dopo l’esplosione di una bomba ad Aleppo, rimangono illese solo due bambine. Scatta una foto, ma poi si ferma e le abbraccia. È il lato umano che porta queste giovani ad amare questo lavoro, la passione per la macchina fotografica e la voglia di raccontare al mondo una parte di storia spesso celata. “È un dovere verso il giornalismo, è necessario fare la corretta informazione raccontando le atrocità della guerra”.
Parole forti, piene di coraggio che trasmettono in chi ascolta, paura. Paura, perché immaginarsi una guerra è solo un lontano e minuscolo frammento di visione, di ciò che è realmente.
"In prima linea" non è solo una mostra fotografica. È una testimonianza di chi gli orrori li ha visti e sentiti. Le parole di Andreja Restek nel raccontare i dettagli e le scene vissute, sono come lame taglienti che ti entrano dentro, lasciandoti inerme, davanti alla crudeltà dei conflitti.
Ed ecco, allora, che la potenza espressiva di un’immagine, arriva dalla fotografa Maysun che ritrae il volto pieno di dolore di una donna col vestito rosso che ha appena perso il figlio, ucciso dall’esercito in Egitto, da Annabell Van den Berghe che fotografa alcune donne in posa con i fucili in Sudan, o Virginie Nguyen Hoang che coglie l’attimo di un colpo di mortaio appena esploso in Ucraina.
Il mondo spesso racconta le immagini di molti colleghi maschi, ma le donne che fanno questo mestiere sono tantissime. Molti si ricordano di Robert Capa, ma nessuno conosce Gerda Taro che insieme a lui documentò la guerra civile spagnola e fu la prima donna a morire sul fronte. Alla classica domanda “Avete paura?” rispondono all’unisono. “Certo, siamo in guerra, ma è la stessa paura che ci permette di essere concentrate, che ci stimola ad andare avanti e non mollare. Ogni volta prendiamo prima i contatti sul posto, conosciamo il territorio, sappiamo bene fin dove possiamo spingerci e quando è il momento di fermarsi.” E qualcuna aggiunge “Forse ad un uomo non avreste fatto questa domanda!”.
La visione stereotipata della donna, come essere “debole” è sicuramente qualcosa di ancora molto diffuso. Anche per questo la mostra è promossa da G.I.U.L.I.A – Giornaliste unite per il cambiamento, una rete nazionale di donne autonome, impegnate per la libertà di informazione sulla carta stampata e sul web. Combattono la discriminazione e mettono in evidenza la fatica, il coraggio e la creatività delle donne italiane e giornaliste impegnate per la parità di diritti sul posto di lavoro. È necessario un cambiamento radicale nel giornalismo italiano, che rispetti la figura femminile, promuova l’uguaglianza di genere e ne evidenzi il talento.
Le fotoreporter non ci tengono a parlare molto di sé, ma del loro lavoro. La fotografa milanese Matilde Gattoni racconta del suo reportage “The Swallows of Siria” e mi spiega come a volte, essere donna, vuol dire avere una marcia in più. “Grazie a questo ho potuto avvicinarmi alle donne del posto, ascoltare le loro storie e fotografarle”. Ad un uomo questo non sarebbe stato permesso. Nei 20 ritratti di donne siriane rifugiate, spiega come mantengono viva la loro forza, dedicandosi alla casa, decorandola con disegni, tappeti o piccoli oggetti che rendono il luogo più colorato e umano, nonostante sappiano che da un momento all’altro potrebbero lasciare tutto per ripartire.
Nel loro mestiere, spesso è la forza delle altre donne a infondere coraggio alle reporter. La solidarietà che si instaura è molto intensa e questo le spinge a raccontare gli abusi che hanno subito e la determinazione a non arrendersi. Per questo motivo, Andreja Restek è anche fondatrice dell’Ambulanza dal Cuore forte, un’iniziativa volta a raccogliere e portare medicinali ad Aleppo, impegnata ad alleviare le sofferenze dei civili nelle zone di conflitto e sensibilizzare l’opinione pubblica sugli orrori delle guerre in Africa e Medio Oriente.
La potenza delle immagine deve portarci a riflettere e non a voltarci dall’altra parte. Ognuna ha dato il suo personale contributo alla mostra, c’è chi espone immagini più dure e crude del conflitto e chi il lato più dolce, cogliendo gli attimi della vita quotidiana.
“Vogliamo condividere il nostro lavoro e le nostre emozioni con il pubblico, raccontare le tragedie nei diversi continenti. [...] Non possiamo mostrarci deboli, non sarebbe giusto davanti a chi ha perso tutto. Nascondiamo la nostra fragilità in quei momenti e la tiriamo fuori solo quando torniamo a casa”, dice Andreja.
Passione, umanità, coraggio. Sono queste le caratteristiche per descrivere le 14 fotografe, molte delle quali hanno sotto i 30 anni. Mostrare le loro immagini a livello internazionale, sensibilizzare il pubblico e diffondere la conoscenza, è il loro obbiettivo. Conoscono i rischi e i pericoli, ma sono armate di amore per il loro mestiere ed è questo che le protegge, più di un giubbotto antiproiettile.
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